Partiamo
dalla fine. Il M5S realizza uno splendido risultato. Dati per
vincenti (o almeno ai ballottaggi) un po' dappertutto, i
pentastelluti devono accontentarsi di Pomezia e Assemini, centri
strategici per le sorti della nazione, che rappresentano veri e
propri punti nevralgici della politica economica del Paese. In attesa
dei risultati siciliani, regione nella quale, lo ricordiamo, il M5S è
il primo partito, Beppe Grillo ha commentato così il risultato
ottenuto nella cittadina laziale e nella sarda: “È
stato un trionfo. Lentamente ma inesorabilmente stiamo arrivando”.
Che ci ha richiamato alla memoria i commenti dei vecchi democristiani
quando il Pci di Berlinguer gli stava facendo vedere i sorci verdi.
Poi sono arrivati anche i risultati dell'Isola, e il clima non è
affatto cambiato. Al ballottaggio solo a Ragusa. Ma anche questo è
un trionfo. In Italia, siamo ormai abituati al peggio, per cui basta
poco per volare. In questo caso un ballottaggio senza speranza di
vittoria, ma almeno si corre ancora un po'. Sconfortanti i dati dei
5S che, in un colpo solo, hanno perso 25 punti (di media) a Catania
(da 30 a 3) a Ragusa (da 40 a 15) mentre nelle altre città capoluogo
non hanno sfiorato neppure il 10 per cento. Queste amministrative
sono state un cappotto, ben confezionato come quello di Cary Grant,
giunto al momento opportuno, visto che l'estate non arriva e il
freddo polare della crisi sta rosicchiando le ossa degli italiani.
Certo, non è minimamente paragonabile a quello del Pdl alle elezioni
politiche del 2001, quei 61 deputati e senatori a 0, con i quali
Silvio fece vergognare il Pd di esistere, ma è pur sempre una bella
soddisfazione, ottenuta per altro con un partito che continua a
esistere solo per la base organizzativa che ha e perché gli altri,
onestamente, fanno proprio schifo. Ma mentre a Roma la sconfitta di
Alemanno (peggio di lui nessuno), poteva essere data quasi per
scontata, i risultati di Brescia e di Treviso, dimostrano in maniera
inequivocabile che: a) la Lega non esiste più; b) il Pdl è solo
Silvio. La dimostrazione che le elezioni politiche siano state
l'ultimo miracolo possibile per un partito, e un uomo figlio ormai di
se stesso, c'è stata ieri, con una sconfitta che non ha precedenti,
neppure una casella da riempire con la bandiera delle Libertà,
neppure un destrorso a sedere sulla poltrona di sindaco. Ma ci
pensate? Dopo venti anni di dittatura xenofoba totale, Treviso ha
pensionato l'ex X-Mas Gentilini. Il pistolero, lo sceriffo delle
bollicine, sconfitto dai suoi concittadini, ha dichiarato
laconicamente: “È finita
un'epoca. Basta, mi ritiro”. Giunto a 84 anni, di cui gli ultimi 20
trascorsi a cannoneggiare i negher, Gentilini deve mollare,
abbandonare, chinare il capo fiero del suo essere fascista, del “mi
spezzo ma non mi piego” che tanti lutti ha causato a una nazione di
imbelli. Intervistato subito dopo l'esito del ballottaggio, il neo
sindaco del centrosinistra, Giovanni Manildo, ha parlato di una
Treviso che si è riappropriata di se stessa, omettendo di dire che
il primo atto che farà, sarà quello di disinfestare l'ufficio del
sindaco, iniziando dai busti di Mussolini con i quali Gentilini
accoglieva sorridendo gli ospiti. In casa Pd è iniziata la rincorsa all' “ho
vinto io”. La voglia di mettersi medaglie, per chi è abituato a
perdere, è irrefrenabile. Basta poco, un 16 a 0 e all'improvviso
perfino i 101 zozzoni si trasformano in eroi e, soprattutto, in
statisti. “Nessuna ripercussione sul governo”, dichiarano
all'unisono LettaLetta e Alfano. E ti credo!
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