Degli
ordini del giorno dei “quattro dell'Ave Maria” europea ci
interessa poco o nulla. Strombazzata ai quattro venti come l'evento
dell'anno, la riunione dei premier di Italia, Francia, Germania e
Spagna (sembra una vecchia barzelletta ma non lo è), avrebbe dovuto
rappresentare il primo passo concreto per porre un rimedio alla
disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Ne è venuto fuori il
solito 'beneintenzionario' che non approderà a nulla. LettaLetta ne
ha guadagnato in immagine, ma finisce tutto qui, tranquilli ragazzi,
forse ci penserà lo zio. Della storia di Giovanni Passannante,
invece, ce ne ha parlato ieri sera Andrea Satta dei Têtes
de Bois, arrivati dalle nostre parti per il Festival dedicato a Léo
Ferré. La vicenda dell'anarchico che morì quattro volte, iniziata
il 17 novembre del 1878 con l'attentato al re d'Italia Umberto I° di
Savoia, si è conclusa solo nel 2007 quando, con un atto di 'umana
pietà', quello che era rimasto di lui, il cervello, venne finalmente
deposto in una tomba. Perché tirarla fuori oggi? Lo capirete alla
fine del post. Dunque. Passannante era un anarchico e in quel tempo,
il nemico numero uno degli anarchici di tutto il mondo era il Re,
l'emblema dello Stato da abbattere. Passannante era l'ultimo di 10
figli, di cui quattro morti 'per fame' in tenera età. Con una mano
invalida a causa dell'acqua bollente, il futuro anarchico riuscì a
finire la prima elementare poi, tutto il resto, lo fece da sé. Leggi
che ti leggi, studia che ti studi, Passannante abbracciò l'anarchia
e si mise in testa di far fuori il Re. L'occasione arrivò, appunto,
il 17 novembre, a Napoli. Il mingherlino invalido, saltò addosso a
Umberto I° brandendo un coltellino (non una mannaia) con il quale
riuscì a ferire sua maestà al braccio sinistro: incolume la regina
Margherita alla quale i napoletani avevano dedicato una pizza. Da
quel momento inizia un calvario che finirà solo più di un secolo
dopo. Condannato a morte, per grazia del Re la pena venne commutata
nell'ergastolo da scontare nel carcere di Portoferraio, sull'Isola
d'Elba. Nel frattempo, però, tutta la famiglia di Passannante era stata giudicata “folle” e rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa.
Il Re, incazzatissimo, cambiò perfino il nome del paese natio
dell'attentatore, da Salvia in Savoia, a futura memoria e monito.
Passannante trascorse quattordici anni in isolamento. In una cella
più bassa della sua altezza. Legato a una catena di venti centimetri
fissata al muro. In quelle condizioni, si ammalò di tutte le
malattie possibili, fino a diventare cieco e impazzire subito dopo.
Da pazzo, venne trasferito nel manicomio criminale di Montelupo
Fiorentino dove, il 14 febbraio 1910, morì. Uno dice: 'è morto,
finirà qui'. Invece no. Sempre come monito a futura memoria, al
cadavere di Passannanti fu mozzata la testa, mentre il resto del
corpo venne dato in pasto ai cani. Messo sotto formalina, il cervello
dell'attentatore, in ossequio alle teorie lombrosiane, venne portato
a Roma per essere esposto al Museo Criminologico dove è rimasto fino
al 2007. Cosa è accaduto nel frattempo? È successo che un manipolo
di inguaribili e un po' romantici anarchici italiani, si mettesse in testa di dare a quel cervello una degna sepoltura, di riportalo a
casa e seppellirlo come ogni essere umano quando se ne rispetta la
dignità. Quel manipolo, fra cui Andrea Satta e Alessandro De Feo
dell'Espresso, portarono avanti interrogazioni ministeriali a tutto
spiano, ricevendo una serie di 'no' immaginabili e qualche 'ni' meno
atteso. Castelli disse no. Mentre i ni arrivarono da Diliberto e pure
da Rutelli, investito della questione come ministro della cultura.
Nonostante si fosse addivenuti a un accordo, fino alla fine Passannanti (o quello che restava di lui), ha dovuto vedersela con il
pregiudizio anti-anarchico. Così, mentre in molti si aspettavano uno
straccio di cerimonia pubblica per un atto di giustizia così
tardivo, il sindaco di Savoia (Salvia) di Lucania, ha preferito
adottare il low-profile, con una sepoltura fatta quasi di nascosto e
in silenzio. Come vedete, cari amici e lettori di questo blog
“birichino”, quando si parla di diritti umani e di rispetto della
dignità dell'uomo, le chiavi di lettura possono essere molteplici.
Così come tante e variegate sono le posizioni sulle “morti che
rendono tutti uguali”. Sarà anche vero, ma dipende dai punti di
vista. Soprattutto dipende se i corpi sono stati gettati o meno in
pasto ai cani o passati per le armi davanti a un plotone di
esecuzione. I morti non sono tutti uguali, lo sapeva il ministro
Castelli, lo sapevano Diliberto e Rutelli. L'unico a non saperlo
resta Luciano Violante. E poi uno si chiede perché Tremaglia corse
ad abbracciarlo.
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