Daniela
Santanchè, sempre lei, ieri ha detto che “la nota dell'Innominabile è
irricevibile perché afferma solennemente che le sentenze dei giudici
vanno rispettate”. Voi diteci in quale paese al mondo un presidente
della repubblica potrebbe dire, senza essere preso a randellate, che
delle sentenze dei giudici se ne sbatte le palle. Uno, ditecene uno.
Perfino nei paesi dittatoriali le sentenze vengono rispettate, anche
se in quel caso si tratta di sentenze spesso pilotate dallo stesso
dittatore. Ma non è un caso che dovunque, la parola dei giudici
(salvo dimostrare in giudizio che non è così), è considerata
“sacra” e addirittura, in terzo grado, “inappellabile”. E
continua il ricatto perenne: “O il pluripregiudicato Berlusconi
continua a sedere in Senato o è crisi di governo”, un fatto
inimmaginabile perfino nella Birmania dei colonnelli dove il Senato non esisteva proprio. Viviamo in un
paese anormale, prendiamone atto e sforziamoci di ricordare dove il nonno ha riposto il forcone.
Ieri,
andando nel nostro angolo di pineta a leggere Conan Doyle (a 99
centesimi), abbiamo incontrato due ragazzi che non stavano parlando
della vineria dove andare a sbronzarsi la sera, ma delle rispettive
situazioni familiari. La ragazza diceva al ragazzo: “Mio padre
figura disoccupato però lavora” e il ragazzo le rispondeva: “Pure
mia zia sennò non camperebbe”. Ci è venuto in mente Stefano
Fassina e la sua niente affatto bizzarra idea dell'”evasore per
fame”. Contro Fassina si sono scagliati quasi tutti gli alti
esponenti del suo partito (ipocriti fino alla morte) mentre dal Pdl
si sono limitati a dire: “Benvenuto fra noi”. L'altra sera,
reduci da una non cena, abbiamo deciso di mangiare un gelato.
Contrariamente a quanto avvenuto altre volte, non ce la siamo sentita
di chiedere lo scontrino. In quella gelateria non c'era praticamente
nessuno, fargli risparmiare un paio di centesimi di tasse ci è
sembrata una idea più buona che giusta. Poi ci abbiamo ripensato e
ci siamo detti “mai più”. Stando ai dati sulla disoccupazione
(soprattutto quella giovanile), sulle ore di cassa integrazione,
sugli operai che dalla sera alla mattina non trovano più la loro
fabbrica trasferitasi nottetempo in Polonia, dovremmo vivere in un
paese poco illuminato, con i locali pubblici chiusi alle 8 di sera,
gente vestita malissimo intenta a rovistare nei cassonetti,
mendicanti a ogni angolo di strada, mense della Caritas interdette per sovraffollamento. Quello che invece ci troviamo di fronte le
poche sere in cui ci siamo permessi di fare quattro passi nei luoghi
della “movida” locale, è un tutto esaurito in pizzerie e
ristorantini, gelaterie e chalet balneari, mercatini e venditori di
patacche e file di clienti in attesa davanti ai
ritrattisti-tatuatori-parrucchieri-artisti vari-saltimbanchi-ricchi
premi-cotillon. C'è qualcosa che non quadra. I conti non riportano e
non crediamo che la risposta possa essere solo nella frase della
ragazza di cui sopra: “Mio padre figura disoccupato però lavora”.
Per anni in Italia abbiamo assistito passivamente al proliferare di
secondi e terzi lavori, tutti rigorosamente in nero, che hanno
permesso anche agli uscieri o ai segretari personali dei sindaci, di
comprarsi la barca o la casa al mare. Per anni, e con tutti i regimi
possibili, l'Italia ha vissuto più di sommerso che di lavoro alla
luce del sole. Situazione invidiabile quella di denunciare un reddito
e nasconderne almeno un altro. E da noi tutto questo si verificava
scientificamente e con la più grande delle tolleranze. Per assurdo
però, il lavoro in nero fatto per una vita è stato, in questi anni
di crisi drammatica, il motivo della tenuta sostanziale del Paese,
andando a costituire quello zoccolo duro del “risparmio” che ha
consentito agli italiani di non soccombere miseramente nei confronti
di uno spread arrivato a 535 di differenziale sui bund. Notizia di
ieri, la Guardia di Finanza ha scoperto 5mila evasori fiscali totali,
quella categoria di delinquenti che non denunciano neppure uno dei
tre o quattro redditi di cui dispongono. E, sempre notizia di ieri,
il 40 per cento degli italiani è rimasto in città non potendo
permettersi neppure un giorno di vacanza al mare o in montagna. In
questo paese c'è qualcosa che non va, non riportano i conti, viviamo
una sostanziale forma di schizofrenia economica e di discriminante sociale. Nel frattempo però,
scrivendo questo pezzo, ci siamo ricordati dove il nonno ha nascosto
il forcone.
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