Parecchia
ipocrisia, molta manipolazione, un q.b. di odio, un pizzico di
cinismo e tanta, tanta cattiveria “dentro”. Questa, in poche
parole, la stampa padronale ai tempi di Berlusconi che, forse,
sarebbe stato meglio il colera. Libero e Il Giornale avevano iniziato
nei giorni scorsi l'opera di demolizione del giudice Esposito:
“Sciatto, con la cravatta impataccata, la camicia aperta che mostra
la canottiera e pure ubriacone”. Ci vanno giù duro, i giornalai,
quando devono difendere il padrone, così bastano un paio di calzini
turchesi, un bacio dato al ragazzo trent'anni fa, leggere un giornale
sulla panchina che i pasdaran si scatenano e sputtanano domineddio.
Se Draculino e l'ex internato di Montelupo Fiorentino (basta
guardarlo negli occhi per capire di quale sindrome soffre), decidono
di demolire qualcuno, lo fanno senza se e senza ma. Se poi non
trovano cravatte impataccate o calzini turchesi, passano la palla a
Signorini il quale, mogio mogio quatto quatto, almeno un paio di
corna le trova sempre e comunque. Distruggono uomini e carriere, i
pennivendoli di risulta. Uno si erge a paladino contro la
malagiustizia facendosi però graziare dall'Innominabile, l'altro si
inventa addirittura attentati perché altrimenti non se lo fila
nessuno. Poi, passate le rispettive buriane, ricominciano
l'assalto al collo degli altri. Loro non mirano alle palle, un calcio
e via, puntano direttamente alla giugulare e se riescono ad
avvicinarsi a distanza di denti, azzannano senza pensarci troppo.
Premessa indispensabile. La Corte di Cassazione non emette nessuna
nuova sentenza. Ha solo il compito di certificare se la Corte
d'Appello ha fatto o no il proprio lavoro. Non è un caso che nel
processo davanti alla Cassazione non sono ammesse né nuove prove né
nuove testimonianze. E non è un caso che la stessa Corte si sia
dichiarata “non competente” sulla richiesta del Procuratore
Generale di diminuire gli anni di interdizione di Silvio, rinviando
la decisione a un nuovo processo da tenersi presso una nuova Corte
d'Appello. La Cassazione accetta o rigetta un ricorso, non può
aggiungere né togliere nulla rispetto a quanto già sentenziato. Ma
questo, i berluscones fanno finta di non saperlo. L'intervista
rilasciata dal presidente Antonio Esposito al cronista del Mattino di
Napoli, non contiene nessuna novità. Non rivela nessun segreto
processuale, non anticipa una mazza di niente tanto meno le
motivazioni che sono già state scritte dalla Corte d'Appello. Nel
momento in cui la Corte riconosce la validità di una sentenza
infatti, la assume come propria. E nelle motivazioni del tribunale
d'appello di Milano, il fatto che Berlusconi non solo sapesse (perché
informato costantemente) ma che fosse addirittura l'inventore delle
manovre elusive del fisco, è scritto a caratteri cubitali. Nessuna
novità, nessuna pietra dello scandalo, nessuna rivelazione
sorprendente tale da rimettere in discussione una sentenza. Potremmo
discutere dell'ingenuità del giudice Esposito, di una intervista
rilasciata intempestivamente, di eccessiva leggerezza, ma da qui a
tentare di annullare la sentenza della Cassazione, come vorrebbero i
leccaculo della stampa padronale, ce ne corre. Motivo di censura, il
commento del giudice Esposito, ma la questione si ferma qui. O
dovrebbe fermarsi qui. Ma non sarà. Alessandro Sallusti ha deciso di
inviare un cane da riporto dall'oculista del giudice Esposito. Visto
in tivvù lo spessore degli occhiali dell'alto magistrato, vuole
dimostrare che la sentenza letta in nome del popolo italiano, era
esattamente l'opposto di quella che poi è risultata. Il giudice
Esposito è miope. E un miope non può fare il magistrato. Porco
boia.
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