Prima
di parlare del futuro prossimo di questa nazione di teledipendenti a
senso unico, vorremmo riportare tre titoli di Repubblica senza
aggiungere nessun commento: “Genova, sfigurata con l'acido
nell'ospedale dove lavora”; “Pinzolo, uccide a coltellate la ex e
ne abbandona il corpo nell'auto”; “Avola, uccide la moglie e si
suicida”. E un quarto: “14enne gay suicida, il dramma dei
genitori 'Non abbiamo capito il suo disagio'”. Tutto qui. Nessun
commento. Passiamo ad altro.
Ormai
nel Pdl stanno prendendo atto che dovranno correre senza Silvio
capolista ovunque, anche in Molise. Lo dice la legge Severino e, da
quanto è possibile capire, neppure dalla bacchetta magica
dell'Innominabile, questa volta potrà uscire l'incantesimo utile a
farlo restare sullo scranno senatoriale di Palazzo Madama. Silvio è
fuori dai giochi fatti in prima persona, starà però in tribuna
perché gli sarà negata pure la panchina. Che i carabinieri
continueranno a salutarlo militarmente, come si fa con i
rappresentanti istituzionali della Repubblica, non sarà che un
inciso, per quanto sgradevole ma un inciso. La sentenza Mediaset
passata in giudicato, impedisce di fatto qualsiasi interpretazione
diversa della legge “Severino” che, come si ricorderà, fu votata
anche dai pidiellini convinti, dopo le dimissioni di Silvio e
l'ingresso sulla scena del governo Monti, dell'inattaccabilità-impunità perenne del
loro capo supremo. Le cose non sono andate così. Silvio a settembre
lascerà Palazzo Madama per andare, probabilmente, ai domiciliari da
dove, armato di tutto punto, guiderà la rinata squadra di Forza Italia alle
prossime elezioni politiche (probabilmente a febbraio o in
primavera). Nonostante il falco Nitto Palma (il vero pasdaran della
giustizia secondo Berlusconi) preveda un ricorso al Tar per
l'immissione in lista di Silvio, la strada sembra essere
definitivamente chiusa, di più, sbarrata con i Cavalli di Frisia.
Ecco allora la genialata tratta direttamente dal manuale del perfetto
marketingettista: puntare tutto sul brand “Forza Italia”. Detta
così, per i non frequentatori del mondo della comunicazione
pubblicitaria sembra un argomento difficilissimo, invece non lo è.
Facciamo un esempio. Marlboro non è solo un marchio, è un vero e
proprio brand. È, insomma, la qualità assoluta rispetto al valore
puro e semplice della “marca” di sigarette. Wikipedia lo
definisce così: “Il brand management è l'applicazione delle
tecniche di marketing a uno specifico prodotto, linea di prodotto o
marca. Lo scopo è aumentare il valore percepito dal consumatore
rispetto a un prodotto, aumentando di riflesso il brand equity
(valore del marchio o patrimonio di marca). Gli operatori del
marketing vedono nella marca la 'promessa' di qualità che il cliente
si aspetta dal prodotto, determinandone così l'acquisto nel futuro”.
Torniamo alla Marlboro. Quando un fumatore va dal tabaccaio e
chiede un pacchetto di Marlboro (rosse morbide), si domanda chi è il
presidente o l'amministratore delegato dell'azienda? Ma proprio no!
Acquista quella “marca” perché la ritiene migliore delle altre.
Riportiamo il ragionamento a bomba. Lavorare sul brand “Forza
Italia” significa “aumentare il valore percepito dal consumatore”
rispetto al prodotto politico, privilegiare la “marca” rispetto a
chi presiede o dirige l'azienda che la fabbrica. Così Silvio intende
fare con Marina: la nominerà amministratore delegato di un'azienda
che fabbrica un prodotto di qualità assoluta in grado di catturare
l'attenzione del futuro consumatore. In questo momento storico, il
nome di Silvio non potrà sparire dai 6x3 (o 3x6 è uguale) né dagli
striscioni che voleranno sulle teste degli italiani in spiaggia a
ferragosto. Lo vogliono la logica della continuità e una sorta di
ringraziamento perenne al fondatore. Ma vedrete, con il passare delle
settimane, una volta che il “brand” si sarà fissato nei cervelli
tanto al chilo di una vagonata di italiani invasati dalla voglia di
lusso esibito, al posto del nome di Silvio ci sarà quello di Marina.
Insomma, conta più il marchio di chi lo rappresenta. Questa è stata
la chiave del successo di Silvio in politica, aver modificato la
percezione dell'italiano-elettore in italiano-consumatore, aver
venduto Forza Italia come le sue tivvù facevano con Bilba di Cadey o
il Prosciutto Cotto Rovagnati dei break pubblicitari di Mike
Buongiorno. Già da allora, primi anni '90, molti italiani si resero
conto che sotto c'era una fregatura colossale, uno straordinario
cambiamento della società e dei costumi che, come primo risultato,
produsse personaggi alla Pietro Maso, il criminale che uccise i
genitori per comprarsi la Porsche. Se a Giulio Andreotti la storia
non ha potuto addebitare le Guerre Puniche, a Silvio Berlusconi, e al
berlusconismo, potrà invece tranquillamente addossare la
responsabilità dell'imbarbarimento di una intera nazione trasformata
in un supermarket delle illusioni ad altissimo costo. Chi dice che il
nostro anti-berlusconismo è solo snobismo intellettuale, rispondiamo
che siamo anti-berlusconiani da molto prima che Silvio scendesse in
politica. Era il suo sedersi sotto l'albero di Natale circondato da
una moltitudine di bambini belli, biondi e con gli occhi azzurri, che
ci stava sulle palle. Allora era solo il presidente di Mediaset, ma
la voglia di sentirsi Gesù Cristo c'era già tutta. Chiediamo scusa
per questo post poco ferragostano, ma al solo pensiero di andare in
spiaggia e vederci svolazzare sulla testa un aereo con la scia “Forza
Silvio” ci piglia di un male...
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