Era
ora.
Questo, si sa, è il paese che per aggiornare i codici e le
normative, e renderli attuali, devono succedere catastrofi. Così,
brucia un teatro e si introducono, per legge, le porte con le
maniglie antipanico e si restringono i criteri di agibilità. C'è un
terremoto e le case (meno che all'Aquila) si costruiscono seguendo i
criteri antisismici. Un imprenditore ruba e cancellano il falso in
bilancio. Una signorina si stanca di essere marocchina ed ecco pronto
un bel provvedimento per farla diventare cittadina egiziana. Meno che
per la legge contro l'omofobia (Giovanardi ha detto che prima di
approvarla dovranno passare sul suo corpo, e purtroppo ancora nessuno
ci è passato) per il resto, anche se tardivamente, in Italia una
pezza la si mette comunque e dovunque. Per una legge minimamente
seria contro i femminicidi (si poteva e doveva fare molto di più e
prima), si è dovuto attendere una strage, spesso preannunciata,
spesso dovuta alla mancanza di coraggio e all'educazione
ipocritamente finto-cattolica delle donne che non hanno denunciato
molestie e percosse. Spesso perché alle denunce delle donne, le
autorità non hanno colpevolmente creduto e quindi le hanno
sottovalutate fino alla tragedia finale. Alla radice di tutto questo però, sempre e
comunque, c'è quel vezzo tipicamente maschile di sentirsi padroni
delle mogli e dei figli e quindi, nel momento in cui una donna o un
figlio decide di levare le tende, si manifesta in tutto il suo
devastante controsenso il delitto di lesa maestà: roba da
psichiatria neppure troppo avanzata. Quante donne sono morte per
l'incultura non solo dei mariti e dei compagni, ma anche per quella
di poliziotti e carabinieri poco attenti e niente affatto vigili dopo
che una di loro, con i lividi in faccia e qualche costola rotta, si
recava in una caserma o al commissariato per denunciare l'aggressore?
Una cifra. Tante. Troppe. E tutte, invariabilmente, con alle spalle
storie che avrebbero dovuto far presumere una fine drammatica.
Colpisce il fatto che sempre più ragazzi giovani uccidano le
fidanzate che hanno deciso di mollarli. E colpiscono le motivazioni
che gli avvocati difensori portano a giustificazione di fatti che più
efferati del fare a pezzi una ragazza e darle fuoco, non esistono.
“Disadattati”, “vittime del sistema”, “introversi”,
“incapaci di avere rapporti umani”, “solitari”, “troppo
sensibili”, “troppo innamorati”, “troppo gelosi”. La
gelosia diventa patologia e non c'è verso di sradicarla. E non
dipende né da un bacio né da corna confezionate con un fiocchetto
rosso né da un amante, ma è il risultato di un orgoglio smisurato
che tende a far sentire la moglie o la compagna come “cosa” di
esclusiva proprietà, anche se fuori dalle mura domestiche, lo stesso
coglione ha una frotta di amanti adoranti in fila. Roba da salvacoda
in farmacia. Ecco, il nuovo decreto tenta di porre un freno alla
follia da delirio di onnipotenza al maschile. E lo fa, secondo il
nostro modestissimo parere, attraverso due piccole norme che tanto
piccole non sono. La prima è la “irrevocabilità della querela”.
Quante donne infatti, una volta querelato il compagno ritirano la
denuncia sotto il peso di ricatti e di minacce? Bene, oggi non sarà
più possibile, lo Stato procederà comunque. La seconda riguarda il
patrocinio gratuito. Le donne che non possono permettersi un legale,
e per questa ragione non denunciano il coniuge, avranno la tutela assicurata da parte dello Stato. Mille sono le ragioni per le quali
anche le donne più progressiste tendono a coprire le violenze
domestiche, fra queste, il sentirsi sole. In questo modo, il decreto
appena varato tenta di vincere una delle sindromi che accompagnano
spesso la ritrosia a denunciare: la solitudine. In molti casi un
animale ancora più feroce e brutale degli stessi schiaffi e dei
calci nella pancia.
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