Un
nostro amico attore (un grande attore), ci ha sempre parlato
dell'improvvisazione scenica come di un'arte. Nel teatro antico
suppliva a buchi di memoria improvvisi: maledetti copioni
iperstrutturati. Nel teatro un po' meno antico, l'improvvisazione
veniva incontro a una malattia tipica dell'età: la sordità, che non
permetteva di sentire la voce del suggeritore nella buca. Poi, via
via, è diventata sempre di più una “licenza” che gli attori
istrioni si concedevano per dimostrare quanto fossero bravi. Ionesco,
ad esempio, si incazzava da matti quando un attore gli modificava il testo, e non era l'unico. Nell'avanspettacolo, l'arte
dell'improvvisazione era tutto perché le battute che provenivano
dalla platea, ironiche fino all'offensivo, quasi sempre brucianti,
mettevano a dura prova l'abilità del capocomico nel rispondere al
“Aho, facce ride'”. Totò, improvvisando, ha girato tutti i suoi
film, ma lui era Totò. L'improvvisazione, insomma, è un'arte, ma
anche una tecnica che un bravo attore impara per non creare buchi di
copione e arricchire la sua parte, a volte, con veri e propri colpi
di genio. Un attore, dopo un po' che pratica palcoscenici, tende a
improvvisare, è nella sua natura, l'indole del protagonista che,
quando non diventa una sindrome o una patologia, è estremamente
benefica. In politica le cose un po' cambiano. Se poi vai a toccare
corde sensibilissime, il risultato che si ottiene è quello di una
sollevazione popolare o di un mare di fischi che invadono tristemente
la platea. Per cui, se un bravissimo attore colto dalla sindrome
dello statista improvvisato afferma che “L'inciucio ha sepolto il
25 aprile”, il minimo che può aspettarsi è la sollevazione
popolare di cui sopra perché, oltre ad aver improvvisato male, da
anche la sensazione di non conoscere il copione. E se qualcuno lo
chiama “Becchino planetario” o, da Marzabotto, gli arriva una
frase stile “Il mezzo morto sei tu”, l'attore di cui sopra non
deve lamentarsi ma, umilmente, tornare a studiare la parte. Chi non
improvvisa, perché ne sono incapaci, sono i pidiellini. Cantano e
suonano ormai da vent'anni la stessa canzone: “Potere, potere,
potere”, che è come il refrain della canzone di Mina e Alberto
Lupo, solo che i due artisti veri cantavano “Parole”. Brunetta,
Alfano, la Gelmini, la Santanchè, la Carfagna, Sacconi, vogliono
tutti tornare ad occupare una poltrona. Per loro non è cambiato
nulla. Le manifestazioni di piazza sono tutte contro il PD. Non si
trova uno straccio di “sinistro” qualsiasi che vada sotto le
finestre di Palazzo Grazioli a gridare “Buffone” al Capataz, se
la pigliano con Dario Franceschini, reo di essersi fatto crescere la
barba per passare per uno di sinistra. Nella sua immensa bravura,
Silvio è riuscito ancora una volta a sviare l'attenzione dai suoi
problemi, e dobbiamo dargliene atto. Anche se si è ritrovato a
combattere contro Bersani, Marini, la Bindi e Fassina che non sono
proprio fulmini di guerra. Ma i problemi nel PD non sono finiti. In
queste ore aumenta a dismisura il numero dei parlamentari democratici
che dichiarano di non votare la fiducia a Letta-Letta. Ha iniziato Civati,
ha finito, ieri, Laura Puppato. Tanti gli scettici, fra cui la stessa
Bindi e Fassina mentre si aspetta una parola definitiva da parte dei
“giovani turchi”. L'impressione è che in questa legislatura, il
Gruppo Misto sarà popolatissimo, solo posti in piedi. L'impressione
è che chiedere a qualche deputato e senatore del PD di votare la
fiducia a Berlusconi, sia andare contro natura. L'impressione è che,
fatta la legge elettorale (perché se dovesse restare questa gli
italiani prenderebbero i forconi), si torni a votare. Fare la
mignotta è un mestiere di tutto rispetto, a meno che non si sia
schiave. E qui di schiavi ne girano tanti. Troppi.
PS. Se
fossimo nei panni di Vito Crimi ci dimetteremmo all'istante. Aveva
appena dichiarato che il M5S avrebbe preso in considerazione
provvedimento per provvedimento, che è arrivata la pronta smentita
di Grillo: “Con questi non ci mescoleremo mai”. Un po' di crisi
d'identità no, vero?
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