L'immagine
di apertura non è solo un fortunato clic fotografico, ma l'icona di
una disfatta. Subito dopo le fumate nere “mariniane”, Bersani, con
un bicchiere di birra in mano e il toscano nell'altra, ha detto:
“Ragassi, mi sfilo dalla corsa per Palazzo Chigi”. Piergigi è un
uomo distrutto dalle sue stesse, clamorose fesserie, dall'incapacità
di guidare un partito in cui D'Alema e Veltroni, Letta e Fioroni, la
Bindi e Franceschini, Parisi e la Finocchiaro, hanno sempre
spadroneggiato tenendolo per le palle. Il PD è un partito che non
esiste, semplicemente perché non ha mai incarnato lo spirito di
nessuno. Apparentemente post-ideologico, non è mai riuscito a far
convivere le anime della Margherita e quella dei PCI-PDS-DS e
ammennicoli vari. Minato dalle sue stesse invidie interne, e da culti
di personalità senza valore, il PD non ha mai rappresentato quell'idea di sinistra europea, definiamola socialdemocratica, che
era alla base della elaborazione prodiana. Negli anni del
berlusconismo poi, il PD si è fermato, non è stato più quel
laboratorio di idee e di proposte che ne aveva contrassegnato la
nascita. È diventato succube e vittima del “Re delle televendite”,
che era un Re nudissimo e nessuno se n'è accorto, vestendolo
illusoriamente d'oro e di broccati. E quel Re è sopravvissuto alle
sue stesse nefandezze, anche per merito di un partito che aveva
bisogno, per sopravvivere, di un nemico da combattere con il quale,
però, pranzare e cenare. La Bicamerale, il riconoscimento della
Mediaset del prosciutto cotto Rovagnati e di Bilba di Cadey come
grande patrimonio culturale nazionale, le leggi presentate e
affossate sul conflitto di interessi, un verbale (uno) della
commissione delle verifiche elettorali sull'ineleggibilità di
Berlusconi, chiara come il sole. E poi gli autogol clamorosi, la
smania di protagonismo, la cieca presupponenza di essere i migliori,
l'arroganza dei poteri forti, le banche, le barche, la rincorsa alla
politica spettacolo sapendo di aver perso in partenza, i tradimenti
sottili e quelli da accoltellamento alle spalle, due governi fatti
fuori, il revisionismo storico di Violante e, alla fine, le due
fellonie più schifose: il voltafaccia al movimento operaio e alla
Resistenza, con il via libera ai berluscones di farne scempio. E non
solo. A livello locale, il PD è stato peggio, se possibile, della
vecchia Democrazia Cristiana. Negli anni si è costruito una rete di
potere e sottopotere da voltastomaco, lasciando fuori tutti quelli
che avevano idee e proposte nuove e mantenendo l'apparatnik che fu
del PCI, ma che del PCI non aveva niente, manco più la bandiera,
tanto meno l'Internazionale che a noi, che comunisti non siamo mai
stati, emoziona ancora. L'immagine di Bersani abbracciato ad Alfano è
la parabola di un partito che, finita questa buriana delle
presidenziali, farà bene a scindersi, a polverizzarsi, perché solo
dal kaos può rinascere qualcosa che somigli a un partito della
gente. Non è la Rete (minimal) di Grillo, la risposta. Né le televisioni e i giornali di
Berlusconi. È un discorso di cuore e di anima, talmente difficile da
comprendere che, a questo punto, chiunque venga eletto oggi
pomeriggio, alla quarta chiama o alla quarantesima, a noi non ce ne
fregherebbe comunque un cazzo. Rispunta il nome di Prodi, quello
spernacchiato da Silvio a Bari. Ora diteci che differenza fa fra
Prodi e Rodotà, se non la spocchia di dettare le regole del gioco.
All'Italia non servono croupier, ma Piergigi non se n'è manco
accorto: sta cercando in tutti i modi di servire la mano vincente a
D'Alema.
Il rischio è quello di affondare per sempre. Siamo sull'orlo del baratro e stavolta lo stellone italiano non lo so che fine farà.
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