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venerdì 19 aprile 2013

La fine triste dell'”uomo delle metafore”. Ciao Piergigi.


L'immagine di apertura non è solo un fortunato clic fotografico, ma l'icona di una disfatta. Subito dopo le fumate nere “mariniane”, Bersani, con un bicchiere di birra in mano e il toscano nell'altra, ha detto: “Ragassi, mi sfilo dalla corsa per Palazzo Chigi”. Piergigi è un uomo distrutto dalle sue stesse, clamorose fesserie, dall'incapacità di guidare un partito in cui D'Alema e Veltroni, Letta e Fioroni, la Bindi e Franceschini, Parisi e la Finocchiaro, hanno sempre spadroneggiato tenendolo per le palle. Il PD è un partito che non esiste, semplicemente perché non ha mai incarnato lo spirito di nessuno. Apparentemente post-ideologico, non è mai riuscito a far convivere le anime della Margherita e quella dei PCI-PDS-DS e ammennicoli vari. Minato dalle sue stesse invidie interne, e da culti di personalità senza valore, il PD non ha mai rappresentato quell'idea di sinistra europea, definiamola socialdemocratica, che era alla base della elaborazione prodiana. Negli anni del berlusconismo poi, il PD si è fermato, non è stato più quel laboratorio di idee e di proposte che ne aveva contrassegnato la nascita. È diventato succube e vittima del “Re delle televendite”, che era un Re nudissimo e nessuno se n'è accorto, vestendolo illusoriamente d'oro e di broccati. E quel Re è sopravvissuto alle sue stesse nefandezze, anche per merito di un partito che aveva bisogno, per sopravvivere, di un nemico da combattere con il quale, però, pranzare e cenare. La Bicamerale, il riconoscimento della Mediaset del prosciutto cotto Rovagnati e di Bilba di Cadey come grande patrimonio culturale nazionale, le leggi presentate e affossate sul conflitto di interessi, un verbale (uno) della commissione delle verifiche elettorali sull'ineleggibilità di Berlusconi, chiara come il sole. E poi gli autogol clamorosi, la smania di protagonismo, la cieca presupponenza di essere i migliori, l'arroganza dei poteri forti, le banche, le barche, la rincorsa alla politica spettacolo sapendo di aver perso in partenza, i tradimenti sottili e quelli da accoltellamento alle spalle, due governi fatti fuori, il revisionismo storico di Violante e, alla fine, le due fellonie più schifose: il voltafaccia al movimento operaio e alla Resistenza, con il via libera ai berluscones di farne scempio. E non solo. A livello locale, il PD è stato peggio, se possibile, della vecchia Democrazia Cristiana. Negli anni si è costruito una rete di potere e sottopotere da voltastomaco, lasciando fuori tutti quelli che avevano idee e proposte nuove e mantenendo l'apparatnik che fu del PCI, ma che del PCI non aveva niente, manco più la bandiera, tanto meno l'Internazionale che a noi, che comunisti non siamo mai stati, emoziona ancora. L'immagine di Bersani abbracciato ad Alfano è la parabola di un partito che, finita questa buriana delle presidenziali, farà bene a scindersi, a polverizzarsi, perché solo dal kaos può rinascere qualcosa che somigli a un partito della gente. Non è la Rete  (minimal) di Grillo, la risposta. Né le televisioni e i giornali di Berlusconi. È un discorso di cuore e di anima, talmente difficile da comprendere che, a questo punto, chiunque venga eletto oggi pomeriggio, alla quarta chiama o alla quarantesima, a noi non ce ne fregherebbe comunque un cazzo. Rispunta il nome di Prodi, quello spernacchiato da Silvio a Bari. Ora diteci che differenza fa fra Prodi e Rodotà, se non la spocchia di dettare le regole del gioco. All'Italia non servono croupier, ma Piergigi non se n'è manco accorto: sta cercando in tutti i modi di servire la mano vincente a D'Alema

1 commento:

  1. Il rischio è quello di affondare per sempre. Siamo sull'orlo del baratro e stavolta lo stellone italiano non lo so che fine farà.
    dado

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