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domenica 7 aprile 2013

80mila giovani emigrati nel 2012. E l'Italia è all'ultimo posto per scuola e cultura. Tutto coincide, fallimenti compresi.


Quando escono dati macroeconomici, una persona normale, e per “normale” si intende un povero cristo che non ha studiato né alla Bocconi né alla Luiss, li incrocia, soprattutto se provengono da fonti diverse. Il nostro maestro di comunicazione ci diceva che, per farsi un'idea di quanto stava accadendo, era sufficiente aprire tutti i quotidiani su un tavolo, leggere le diverse versioni della stessa notizia e fare la media: il risultato finale era una visione molto vicina alla realtà. In questo caso, però, non occorre neppure fare la media perché, i dati di cui sopra, bastano per chiarire un trend italiano che dura da una vita, forse meno, venti anni. L'Aire (l'anagrafe degli italiani all'estero), scrive che nel 2012, 80mila concittadini sono espatriati per lavoro. La fascia di età è compresa fra i 20 e i 40 anni, sono più uomini (trentenni) che donne e le regioni di provenienza sono la Lombardia, il Veneto e la Sicilia, con una netta prevalenza dei lombardi. La destinazione preferita è la Germania, seguono la Svizzera e la Gran Bretagna. Non tutti gli 80mila giovani sono cervelli in fuga, “solo” il 78 per cento. Prendiamo questi dati statistici, che sono numeri e quindi difficilmente confutabili (Silvio ci provò a taroccarli, con l'Istat, gli andò male, fece secco il presidente dell'Istat) e teniamoli per un momento da parte. Contemporaneamente l'Eurostat (l'istituto europeo di statistica, l'equivalente dell'Istat a Bruxelles), certifica che l'Italia è all'ultimo posto per le spese “in cultura” e al penultimo per quelle relative all'istruzione. L'Italia spende l'1,1 per cento del Pil, a fronte della media del 2,2 degli altri paesi, sorpassati perfino dalla Grecia che ci sopravanza dello 0,1 per cento, fermandosi all'1,2. Sul fronte dell'istruzione ci possiamo consolare, siamo penultimi. All'ultimo posto c'è la Grecia con l'8 per cento. Noi brilliamo per un 8,5 per cento che cozza terribilmente contro il 10,9 della media europea. Ma il dato allucinante di tutta questa sporca faccenda, è che l'Italia spende materialmente quasi più di tutti (ma nella spesa sono compresi anche gli interessi sul debito pubblico). Questo significa che spendiamo sì, ma male, non ci vuole un genio per capirlo. Cosa significano queste due statistiche messe a confronto? Dato per assodato (sono i numeri a dirlo) che il 78 per cento dei giovani che se ne vanno, rientrano nella categoria dei “cervelli in fuga”, l'Italia si sta colpevolmente privando di risorse umane che nessun altro paese europeo possiede. In più, non sta affatto tutelando né investendo, sulle uniche ricchezze che questo paese possiede (non per merito suo) e che si chiamano paesaggio, beni artistici, beni culturali. Uno scemo qualsiasi, quindi non laureato né alla Bocconi né alla Luiss, riuscirebbe perfettamente a capire che la vera risorsa dell'Italia (poche eccellenze industriali a parte) è il turismo, ma non quello passivo, teso solo a “ospitare”, ma quello attivo, comprensivo cioè di un pacchetto che consenta agli stranieri che vengono in Italia di comprenderne il senso profondo e affascinarli, fidelizzarli, direbbero i geni delle geniali università italiote. Così pensiamo ai giovani artisti, ai musicisti, ai letterati, agli storici (non solo dell'arte), e a una imprenditoria giovane che riesca a catalizzare l'attenzione dei giovani di tutto il mondo con proposte innovative, originali, fantasiose, creative. Ce ne sono migliaia di questi giovani, solo che trovano il loro spazio in Francia, in Germania, in Spagna, in Inghilterra. A volte ci cadono le braccia. Ma poi pensiamo che per anni abbiamo scimmiottato gli altri e che, provinciali come siamo, uno sguardo fuori dalle mura di casa non è possibile. C'è l'uvite in agguato. 

1 commento:

  1. Eppure sarebbe tutto più facile... Ma hai ragione, siamo un popolo di provinciali, anche se abitiamo a Milano o a Roma. Questo ci tocca.
    Carlo

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