Remo
aveva 62 anni. Faceva parte di quella categoria inventata di sana
pianta da chi doveva salvarci dal tracollo: gli esodati. Prima
piccolo imprenditore, poi, strozzato dalle tasse, lavoratore in
proprio, poi, non potendo pagarsi i contributi dell'Inps, lavoratore
in nero, a cottimo, a giornata. Nonostante Remo lavorasse, non veniva
pagato, neppure in nero. Annamaria Sopranzi, la moglie, aveva 68
anni. Pensionata, tirava su un reddito mensile di 500 euro. Insieme
la coppia ne pagava 650 di affitto; superata di gran lunga la soglia
di povertà. Giuseppe Sopranzi, fratello di Annamaria, di anni ne
aveva 72 anni e fino allo scorso anno era vissuto con la sorella e il
cognato. Poi i soldi non bastavano e Giuseppe era andato a vivere da
solo. Remo e Annamaria si sono impiccati insieme, come insieme
avevano vissuto, in uno stanzino vicino al garage di casa. Una
decisione maturata da tempo se è vero che il giorno di Pasqua, a
pranzo a casa di parenti, non avevano detto una parola. Giuseppe non
ha retto il colpo e, saputo dei suicidi del cognato e della sorella,
è andato in cima al molo del porto della sua città e si è buttato.
Remo si era rifiutato, fino alla fine, di andare in comune a chiedere
un aiuto. Troppa la vergogna, troppo il disonore per non riuscire a
mantenere la famiglia. I vicini di casa e i parenti glielo stavano
consigliando da un anno, ma Remo e Annamaria, per quel senso del
pudore molto forte nelle persone di quella generazione, si erano
sempre rifiutati di prenderla perfino in considerazione, quella
proposta. Una storia tragica, quella di Remo e Annamaria, terminata
in modo ancora più tragico con il suicidio di Giuseppe. Tutto questo
è avvenuto a Civitanova Marche, ex regno della calzatura,
dell'amianto, di un assetto industriale che con il tempo, è andato
scemando sempre di più, fino alla riscoperta della vocazione
turistica e culturale. È accaduto a quattro passi da casa nostra e
in una regione, le Marche, il cui modello di sviluppo basato sulla
micro-piccola impresa, è stato studiato dagli economisti di tutto il
mondo. È accaduto nell'indifferenza di uno stato, e di un governo,
che è riuscito a creare quell'aberrazione che ha assunto il nome di
esodati, così come, per un'altra colpevole indifferenza, ha preso
sempre maggiore consistenza la categoria dei giovani “né né”,
una vergogna tutta italiana. E Sora Elsa piange. Lo fa ancora sulle
colonne dei giornali e dice che è addolorata e sconvolta, non
pentita, mai. Ormai i suicidi sono all'ordine del giorno anzi, delle
ore. E mentre tutto questo avviene, c'è chi tenta di fare le scarpe
al suo rivale politico, chi tenta di guadagnare l'impunità fino alla
fine della sua vita terrena, chi se ne va al mare (ancora più
vergognoso) per mettere una pezza ai malumori dei suoi. Iniziamo a
vergognarci di vivere in un paese che lascia morire i suoi cittadini
nell'indifferenza e nell'abbandono, che specula sulle pandemie
presunte e sui terremoti, che decide scientemente di non curare più
la gente né di tutelare l'istruzione e i regali che la natura, e il
genio dell'uomo, hanno fatto a questo paese. Ci vergogniamo di vivere
in una nazione che ha al centro dei suoi interessi i gratta e vinci e
i videopoker, che poi non sono altro che l'altra faccia della
disperazione. Di Remo, di Annamaria e di Giuseppe saranno sempre di
più piene le pagine di cronaca, come sempre più piene di
insulsaggini e di colpevoli ignoranze, saranno quelle della politica.
E nessuno che dica: basta!
Devo farle i complimenti. Nessuna retorica pietà, solo indignazione, quella che occorre.
RispondiEliminaMdA
Condivido la vergogna, in pieno.
RispondiEliminaUna bella pagina, fra storie e analisi. L'incazzatura finale era indispensabile.
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