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sabato 6 aprile 2013

Morire d'abbandono. Morire di vergogna. Morire di disperazione. Morire... La tragedia di Civitanova Marche specchio di un'Italia che non esiste più.


Remo aveva 62 anni. Faceva parte di quella categoria inventata di sana pianta da chi doveva salvarci dal tracollo: gli esodati. Prima piccolo imprenditore, poi, strozzato dalle tasse, lavoratore in proprio, poi, non potendo pagarsi i contributi dell'Inps, lavoratore in nero, a cottimo, a giornata. Nonostante Remo lavorasse, non veniva pagato, neppure in nero. Annamaria Sopranzi, la moglie, aveva 68 anni. Pensionata, tirava su un reddito mensile di 500 euro. Insieme la coppia ne pagava 650 di affitto; superata di gran lunga la soglia di povertà. Giuseppe Sopranzi, fratello di Annamaria, di anni ne aveva 72 anni e fino allo scorso anno era vissuto con la sorella e il cognato. Poi i soldi non bastavano e Giuseppe era andato a vivere da solo. Remo e Annamaria si sono impiccati insieme, come insieme avevano vissuto, in uno stanzino vicino al garage di casa. Una decisione maturata da tempo se è vero che il giorno di Pasqua, a pranzo a casa di parenti, non avevano detto una parola. Giuseppe non ha retto il colpo e, saputo dei suicidi del cognato e della sorella, è andato in cima al molo del porto della sua città e si è buttato. Remo si era rifiutato, fino alla fine, di andare in comune a chiedere un aiuto. Troppa la vergogna, troppo il disonore per non riuscire a mantenere la famiglia. I vicini di casa e i parenti glielo stavano consigliando da un anno, ma Remo e Annamaria, per quel senso del pudore molto forte nelle persone di quella generazione, si erano sempre rifiutati di prenderla perfino in considerazione, quella proposta. Una storia tragica, quella di Remo e Annamaria, terminata in modo ancora più tragico con il suicidio di Giuseppe. Tutto questo è avvenuto a Civitanova Marche, ex regno della calzatura, dell'amianto, di un assetto industriale che con il tempo, è andato scemando sempre di più, fino alla riscoperta della vocazione turistica e culturale. È accaduto a quattro passi da casa nostra e in una regione, le Marche, il cui modello di sviluppo basato sulla micro-piccola impresa, è stato studiato dagli economisti di tutto il mondo. È accaduto nell'indifferenza di uno stato, e di un governo, che è riuscito a creare quell'aberrazione che ha assunto il nome di esodati, così come, per un'altra colpevole indifferenza, ha preso sempre maggiore consistenza la categoria dei giovani “né né”, una vergogna tutta italiana. E Sora Elsa piange. Lo fa ancora sulle colonne dei giornali e dice che è addolorata e sconvolta, non pentita, mai. Ormai i suicidi sono all'ordine del giorno anzi, delle ore. E mentre tutto questo avviene, c'è chi tenta di fare le scarpe al suo rivale politico, chi tenta di guadagnare l'impunità fino alla fine della sua vita terrena, chi se ne va al mare (ancora più vergognoso) per mettere una pezza ai malumori dei suoi. Iniziamo a vergognarci di vivere in un paese che lascia morire i suoi cittadini nell'indifferenza e nell'abbandono, che specula sulle pandemie presunte e sui terremoti, che decide scientemente di non curare più la gente né di tutelare l'istruzione e i regali che la natura, e il genio dell'uomo, hanno fatto a questo paese. Ci vergogniamo di vivere in una nazione che ha al centro dei suoi interessi i gratta e vinci e i videopoker, che poi non sono altro che l'altra faccia della disperazione. Di Remo, di Annamaria e di Giuseppe saranno sempre di più piene le pagine di cronaca, come sempre più piene di insulsaggini e di colpevoli ignoranze, saranno quelle della politica. E nessuno che dica: basta!

3 commenti:

  1. Devo farle i complimenti. Nessuna retorica pietà, solo indignazione, quella che occorre.
    MdA

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  2. Condivido la vergogna, in pieno.

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  3. Una bella pagina, fra storie e analisi. L'incazzatura finale era indispensabile.

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