Oggi
ci sarebbero almeno una dozzina di argomenti meritevoli di
approfondimento. Dal rinvio di una settimana del consiglio dei
ministri che deciderà sull'Imu e sulla cassa integrazione in deroga,
ai veti incrociati nel PD per l'elezione del prossimo segretario; dai
deliri di Beppe Grillo che minaccia di sputtanare universalmente chi
non restituirà i rimborsi parlamentari (e da milionario dice
“Fanculo i soldi”), alla proposta di Francesco Nitto Palma, appena
insediato, che ripropone l'ennesimo condono edilizio, gli esercizi di
analisi giornalistica sarebbero infiniti, e su tutti potrebbe calare
la mannaia del sarcasmo, perché dell'ironia questo paese non ha
capito una mazza. E invece, non per andare contro corrente, ma per
segnalare un caso umano meritevole delle nove colonne, parleremo di
Sandro Bondi: il poeta dell'anima di Silvio, l'ex ministro dei Beni
Culturali che vide il crollo di Pompei, il buono dentro che fece
acquistare dallo Stato un crocifisso di Michelangelo taroccato, di
cui non si conosce la destinazione finale ma la spesa sì: quasi tre
milioni di euro. Sandro Bondi, un po', lo abbiamo sempre ammirato, un
caso di fedeltà e di abnegazione unico al mondo, forse ancora più
grande del giapponese rimasto nella giungla, finita la guerra, a
difendere con le armi il suo imperatore. Bondi è l'amico che tutti
vorremmo avere, fedele fino alla canizzazione, scodinzolante ma anche
pronto a portare, con sussiego, il giornale la mattina e le ciabatte
la sera. Sandro Bondi è un personaggio d'altri tempi, un gentiluomo
ex comunista che, a un certo punto della sua vita, ridotto sul
lastrico e senza arte né parte, incontra Silvio che lo accoglie fra
le sue braccia calde, gli da una stanzetta ad Arcore e il pappone tre
volte al giorno. Sandro capisce allora la grandezza di quel piccolo
uomo e si innamora di lui perdutamente, regalandogli l'unica arte che
conosce, quella poetica. Scrive versi su versi “in ode”, lo
accompagna nel suo peregrinare e, quando c'è da entrare nelle selve
oscure dei guai giudiziari o delle infinite agonie politiche
risoltesi tutte con resurrezioni miracolose, lui è lì, intimamente
vicino al padrone, pronto a donargli la sua vita, se fosse
necessario. Sandro è l'anima candida di Silvio, quella un po'
bambina, mentre Paolino Pa è quella nera, quella della guerra totale
ai comunisti. Insieme a loro l'anima e basta: Gianni Letta, il Richelieu della corte di Arcore, altro che Brunetta, buono solo a
starnazzare. Il loro è un quartetto delle meraviglie inossidabile e
inattaccabile, i Beatles degli anni '60, i Moschettieri di Dumas, le
quattro voci maschie di Nora Orlandi. Per il padrone venderebbero,
novelli Faust, l'anima al demonio, non rendendosi conto di avergliela
già venduta. Sandro è il più debole. Incline alla lacrima, quando
lo accusano di aver fatto crollare Pompei, si rivolge ai suoi ex
compagni di partito e, implorandoli, chiede loro di non votargli la
sfiducia. Ma non servirà a nulla, Sandro si dovrà dimettere e
tornerà all'ombra di Palazzo Grazioli cibandosi dello stesso pappone
di Arcore. Ma ora, finalmente per lui, arriva il momento in cui può tornare
alla luce del sole, riassaporarne il calore dei raggi e la
luminosità, Sandro può, finalmente, immolarsi. Accade che quei
maramaldi dei giudici di Napoli, al termine delle indagini sulla
compravendita del senatore Sergio De Gregorio - passato dall'Idv al
Pdl per la modica cifra di 3 milioni di euro - rinviino a giudizio
Silvio Berlusconi, l'ennesimo rinvio a giudizio di una carriera
trascorsa a dare un prezzo a tutti e, soprattutto, a tutte. Il rinvio
a giudizio di Silvio è stato chiesto da, addirittura, quattro pm:
Henry John Woodcock, Vincenzo Piscitelli, Alessandro Milita e
Fabrizio Vanorio, ai quali si è unito nell'impari lotta, il
procuratore aggiunto Francesco Greco. L'accusa è chiara, pur di
sabotare il governo Prodi, Silvio, dal 2006 al 2008, versò
all'allora senatore dell'Italia dei Valori (non si sa perché ma i
traditori vengono tutti dal partito di Di Pietro) De Gregorio, a
rate, la somma di tre milioni di euro. De Gregorio, con l'acqua alla
gola per fatti suoi, accolse cum gaudium magnum, l'offerta di Silvio,
contribuendo così alla disfatta del secondo Governo Prodi insieme
alla compagnia di giro Veltroni&D'Alema, uniti contro il comune
nemico: Dini e Mastella non furono che gli esecutori materiali di una
sentenza a morte stabilita da altri e in altri luoghi. Appresa
la ferale notizia, Sandro Bondi ha capito che è giunto il momento di
ripagare il padrone dei sacrifici fatti per lui, un modo per dirgli
“grazie” concretamente e non solo vergando versi alati sulla
carta. Chiamati i giornalisti, Sandro ha detto: “Tutto ciò è
assurdo, è l'ennesimo attacco a Silvio Berlusconi. Nel caso del
senatore De Gregorio, Silvio non ha fatto nulla, la responsabilità è
mia, solo mia, per sempre mia”. Chiedendoci dove diavolo Sandro
Bondi abbia potuto reperire tre milioni di euro (un mutuo a tasso agevolato presso
Banca Mediolanum?), resta tutta la nostra ammirazione per un uomo che
sta sacrificando se stesso in nome dell'amicizia, e per un posto nel
Mausoleo di Cascella accanto al padrone. Sandro Bondi è un esempio
di fedeltà perenne, di totale annientamento personale in nome della
causa comune, e di una vocazione al martirio degna di san Sebastiano.
L'unico berlusconiano convinto, si sta immolando. Niente fiori, ma
opere di bene.
fa tenerezza quest'uomo! però ci deve spiegare dove ha trovato i 3 milioni....glieli ha portati Babbo Silvio??
RispondiEliminaForse è come ha scritto Max. Un mutuo a tasso agevolato presso la Banca Mediolanum... che roba.
RispondiEliminaTenerezza è la parola giusta. Quando Papa Francesco l'ha pronunciata, pensava a Bondi... Sandro Bondi...
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