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martedì 7 maggio 2013

Silvio: “Andreotti demonizzato dalla sinistra”. Intanto i processi restano a Milano. Tiè!


Non si può dire che Silvio e Giulio non abbiano mai mangiato insieme, anzi. Poi a volte le amicizie nascono così, perché si è amici degli amici, un po' come su Facebook. Funziona in questo modo: “Io sono amico di Craxi, Craxi è amico tuo, io sono amico tuo”, i sillogismi non c'entrano una mazza, è una questione di rapporti. È iniziata, post-mortem, la beatificazione di colui che andava a messa per parlare con il prete: “Dio non vota – diceva a De Gasperi che lo vedeva sempre distratto durante la celebrazione – il prete sì”. E la vita e la politica di Giulio si sintetizzano con una frase. Andreotti è uno che se n'è andato portandosi appresso 70 anni di segreti di storia patria. Furbo com'era, è possibile che abbia lasciato i suoi misteri nascosti da qualche parte. Giulio era un grafomane quindi, siamo convinti che da puntiglioso qual era, abbia scritto   cose e fatti che noi umani non possiamo neppure immaginare. Omaggio al Divo, stasera da Vespa. Omaggio al Divo su quasi tutte le reti berlusconiane (Italia1 è impegnata con “Calzedonia Sum”). Omaggio al Divo sulle reti Rai e sui principali organi si stampa che, come per Kossiga, misurano le parole con il bilancino, dicono e non dicono, tacciono, occhieggiano e ammiccano, celebrano il “grande statista, ma...” e su quel “ma” uno può fare tutte le congetture che vuole. Riaffermiamo, con la coerenza che ci caratterizza, che i morti non sono tutti uguali. La morte di Andreotti non può essere paragonata in nessun modo a quelle di Falcone e Borsellino e neanche, per dirla tutta, a quella di Salvo Lima. Solo che non ce la sentiamo di unirci al coro delle celebrazioni, non lo facciamo per i vivi, figuriamoci per i morti. Siamo cinici? Mah, forse un po'. Il fatto è che subito dopo l'annuncio della dipartita di Giulio, siamo andati a ritrovare le motivazioni della sentenza di condanna (poi prescritta, che non significa innocenza), del tribunale di Palermo, al termine del processo che lo aveva visto imputato per collusione con la mafia. Scrissero i giudici: "Il senatore Giulio Andreotti (...) ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi (...) ha quindi a sua volta coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss, ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ha chiesto favori, li ha incontrati, ha interagito con essi, ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi come l'assassinio del presidente della regione Piersanti Mattarella, nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati". A volte le parole pesano come macigni, con le parole si ammazza perfino, ferisce quasi sempre.
Nel frattempo, al suo amicone Silvio, anche lui frequentatore di amici degli amici, la Corte di Cassazione ha negato il trasferimento dei processi che lo vedono coinvolto, da Milano a Brescia. Longo e Ghedini ci avevano provato, sollevando il “legittimo sospetto” di condizionamenti dei quali sarebbero vittime i giudici del processo Mediaset e Ruby. La Suprema Corte, oggi, ha finalmente stabilito che: “Si rigetta la richiesta di remissione e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”. Oltre il danno, quindi, anche la beffa, Silvio dovrà pagare le spese per un procedimento ritenuto vacuo. Inutile dire che Ilda Boccassini si è ripresa immediatamente dall'attacco di nervi che l'aveva colta quando era girata la voce che Silvio avrebbe presieduto la Circonvenzione. Gente che va, gente che viene. Gente che vive e che sopravvive. Gente che si suicida e gente che muore di morte naturale. Alla fine tutti dobbiamo morire. La speranza è che almeno dall'altra parte ci sia 'a livella. Sennò sai che fregatura.

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