Per
noi ragazzini, il Primo Maggio era il giorno del panino con la
porchetta e del bicchiere di aranciata. Al mio paese se ne
festeggiavano due, uno organizzato dalla locale sezione del PCI,
l'altro dal circolo Acli. I comunisti e i cattolici, sull'onda di
Guareschi, non è che andassero molto d'accordo, non si sarebbero mai
sognati di governare insieme, in chiesa non c'entravano manco da
morti. A noi, ragazzini ignoranti delle cose della politica, quella
situazione piaceva parecchio perché i panini con la porchetta erano
due e due pure i bicchieri di aranciata. Ad accoglierci al circolo
Acli, c'era l'assistente spirituale dell'associazione, nella sezione
del PCI, il segretario locale. Tutto sommato erano due ritualità non
dissimili perché, alla fine, le celebrazioni erano e sono tutte
uguali, compresi il gusto della porchetta e quello dell'aranciata.
Allora il lavoro c'era. L'Italia era un paese in ricostruzione e la
mano d'opera era richiestissima, soprattutto al Nord dove si stava
giocando la scommessa dell'industrializzazione di un paese fino ad
allora, a trazione agricola. Sembra trascorso un secolo ma non è
così. È che sono cambiati gli uomini più degli assetti, i
governanti più che la struttura del paese, la politica più che
l'elettorato passivo. Proletari eravamo fuori e proletari siamo
rimasti dentro. La differenza è che quella politica ci ha permesso
di studiare, di evolverci, di farci vivere dignitosamente, quella di
oggi è tornata a discriminare. Uno dei meriti di quella politica e
dei costituenti, fu che decisero che tutti potevano apprendere a
prescindere dallo stato civile della famiglia. Si dotò di strumenti (dei
quali usufruimmo anche noi), che portarono a una sorta di
parificazione sociale sconosciuta fino ad allora, anche se a scuola,
soprattutto alle elementari, i figli dei medici, degli avvocati, dei
farmacisti, dei notai e dei preti, erano guardati con occhio diverso
da quelli dei muratori, degli imbianchini, dei calzolai e dei
comunisti. Il figlio del sindaco poi, fino a quando il padre restava
sindaco, risultava inevitabilmente il più bravo. Non c'erano
esodati. Non c'erano “né-né”. Il precariato era solo una parola
semisconosciuta e se uno lasciava la scuola al termine del percorso
di studio minimo garantito dalla costituzione, lo faceva per andare a
lavorare. La disoccupazione giovanile non era al 37 per cento e mai
ci si sarebbe immaginato che, in un solo mese (marzo 2013), 70mila
donne avrebbero perso il posto di lavoro. I suicidi erano una
questione di follia o di follia d'amore, perché i matti veri stavano
in manicomio dove gli toglievano anche le stringhe delle scarpe. Non
c'era un Riccardo, o almeno quello che c'era giocava solo a biliardo,
che si fotteva i soldi dei contribuenti per comprarsi uno yacht, e
ormeggiarlo in Tunisia a un miglio dalla villa di Craxi. Non c'erano
i baluba vichinghi del Nord, perché erano sì baluba, ma il loro
unico interesse era la fabrichètta mica il negher. E non c'era
neppure Silvio, che allora si faceva pagare i compiti di scuola rimediando
così i soldi che gli sarebbero poi serviti per costruire Milano2.
Non c'erano i mangiapane a tradimento dei deputati dei giorni nostri,
perché una volta, personaggi come Razzi e Scilipoti, sarebbero stati
sommersi dalle pernacchie, mica rieletti. LettaLetta però c'era. Già allora. Meglio, c'era lo spirito che incarna. Quella
democristianità doc che riempiva gli uffici postali di impiegati e
postini abruzzesi, i treni e le stazioni con calabresi e veneti, i
tribunali con i pugliesi e i campani. Quella democristianità si
guardava bene dal privilegiare i parenti, ma non perché odiasse il
nepotismo, solo perché i voti dei parenti li avevano già e dovevano
allargare la base elettorale per cui, i posti di lavoro, andavano
sempre a giovani con famiglie numerose. I figli unici erano degli
sfigati, gli orfani manco a parlarne. Però oggi si fa festa. Si
festeggia il lavoro che non c'è. Si suona, si canta, si balla, ci si
ubriaca, ci si attacca a uno spino, ci si dimena seguendo il ritmo di
Massimo Bray, neo ministro dalemiano della cultura, teorico del
potere terapeutico della pizzica. Si concerteggia. FabriFibra
s'incazza perché non lo vogliono a Roma, a San Giovanni. L'accusa?
Scrive testi a cazzo di cane. I sindacati si ritrovano tutti e tre,
dopo cinque anni, a Perugia. Per quello che può valere e servire è
una buona notizia. Poi ci ricordiamo dei cavalier serventi Bonanni e
Angeletti e la voglia di unità subisce un duro colpo. La triplice è
morta, il lavoro è morto, l'Italia è in coma cerebrale, il Pd si è
dissolto per autoscombustione, LettaLetta prende in mano la fionda
sapendo che non lancerà neppure un sassolino, e il M5S fa secchi
senatori perché parlano rifiutandosi di pappagalleggiare. Resta,
stagliata netta sull'orizzonte di un tramonto maldiviano, la figura
del più grande statista che la storia repubblicana ricordi: Silvio
Berlusconi. È lui il protagonista unico e indiscutibile degli ultimi
vent'anni di vita patria. È lui che segnerà in maniera indelebile
le sorti della nazione. È lui che giganteggia in questa folla di
nani umani e di pensiero. Il Primo Maggio è tutto suo. Il primo
giugno pure e tutti i primi di tutti i mesi. Per sempre. Nei secoli
dei secoli. Amen.
Fantastico Max, fantastico.
RispondiEliminaVania